GODZILLA: PUNTO DI SINGOLARITÀ st. 1 | Il Re dei Mostri si tinge di (molta più) fantascienza e weird!



A pochi anni dalla terribile trilogia costituita dai lungometraggi anime 
di Hiroyuki Seshita e Kobun Shizuno, ovvero Godzilla: Il pianeta dei mostri (2017), Godzilla: Minaccia sulla città (2018) e Godzilla: Mangiapianeti (2018), che ha saputo sprecare nella noia più totale un concept potenzialmente interessantissimo (il ritorno dell’umanità sulla Terra, precedentemente abbandonata poiché ormai dominata dai kaijū), Netflix e Toho ci riprovano. 

Stavolta senza Polygon Pictures (Knights of Sidonia, Aijin: Demi Human, Pacific Rim: La zona oscura), ma forti invece di due studio “di grido” come BONES (My Hero Academia, Carole & Tuesday, Bungo Stray Dogs) e Orange (Beastars, Land of the Lustrous, Dimension W), i due colossi dell’intrattenimento lanciano un nuovo anime dedicato al Re dei Mostri, stavolta una serie dall’accattivante titolo Godzilla: Punto di singolarità. La cui prima stagione (tredici episodi da 24 minuti circa) è già disponibile da alcuni giorni sulla celebre piattaforma streaming.

Com'è andata? “Bene ma non benissimo”, utilizzando un abusato adagio dei nostri tempi.

Poster dell'anime con i due protagonisti.

Godzilla: Punto di singolarità è ambientata nel 2030; e il primo episodio vede una (apparentemente) sgangherata società tuttofare, la Otaki Factory, indagare su strani suoni uditi in una villa abbandonata. In perfetto stile Ghostbusters, facciamo la conoscenza del taciturno e geniale programmatore Yun Arikawa, inventore tra l’altro di un micidiale programma AI, e del massiccio e generoso Haberu Kato. Il primo è il protagonista dell’anime – che comunque ha una gradevole e ben bilanciata dimensione corale – alla pari con l’altrettanto geniale Mei Kamino, specialista in biologia fantastica (studio speculativo di esseri viventi le cui caratteristiche trasgrediscono note leggi scientifiche). 

Il “mistero della villa” è l’occasione del primo contatto, telefonico, di Yun e Mei.  Dunque dell’inizio di una collaborazione, per lo più a distanza, che sarà fondamentale per la risoluzione dei catastrofici problemi che verranno. Inoltre, e in estrema sintesi, il “mistero della villa” è solo il primo tassello di un affascinante e complesso affresco mistery, relativo all’apparizioni di sconosciute specie mostruose in particolari luoghi della Terra, caratterizzati dall’essere punti di singolarità (è una nozione matematica: googlate a vostro periglio). L’esistenza di tali specie – i kaijū, ovviamente – è legata a una strana tempesta di polvere rossa, che risulterà costituta da “molecole archetipo” che trascendono concetti come spazio, tempo ed energia a vari livelli. 

Un'antica pittura, sorprendentemente familiare,
che ricorre più volte nell'anime...


Ancora più in estrema sintesi: appaiono frotte di mostroni spaventosi, e vari cervelloni (non tutti dalle mani pulitissime, come scoprirete...) si spaccano il culo a dadi per capire che diamine stia succedendo. Mentre due giovani giapponesi danno numeri a questi massimi scienziati del mondo, risolvendo l’irrisolvibile. Uno scenario anime abbastanza comune alla fine…

Abbiamo dunque due eroi, circondati da aiutanti non meno capaci, che lottano su due fronti diversi: Mei viaggerà in lungo e largo per il mondo, coadiuvando con le sue teorie ricerche sempre più avanzate e segrete, relative a quanto sta avvenendo intorno ai punti di singolarità. Mentre Yun, oltre a coadiuvare a distanza la giovane biologa con le sue parimenti eccezionali intuizioni, lotta sul campo giapponese contro i kaijū aassieme alla Otaki Factory. Il cui boss, il vecchiarello d’acciaio Goro Otaki – che sintetizza benissimo la propria azienda: non gli dai due cent, salvo poi risultare oltremodo inarrestabile – aveva da tempo creato un robot combattente per questo genere di situazioni, Jet Jaguar. Che da un esordio quasi da rottame ambulante, esposto tra l'altro a una festa di quartiere (sembra la classica spalla comica del robot protagonista; che però in questo caso è lui), andrà incontro a sempre più decisi e sofisticati upgrade…


Cosa funziona in Godzilla: Punto di singolarità? Molto. La serie è un piacevole, sofisticato e coloratissimo oggetto pop che reboota l’universo dei mostroni Toho in modo nuovo e fresco. Con uno sguardo primariamente all’era Showa (1954-75: cioè la golden age della saga del sauro radiottivo, dall’originale Godzilla sino a Distruggete Kong! La Terra è in pericolo, entrambi del leggendario Ishirō Honda), i kaijū vengono reimmaginati come specie eccezionali – vedrete, per esempio, molti Rodan – indefinitamente sospese tra mito passato e futuro, tra leggende del passato e figli mutanti di una fanta evoluzione inattesa. Il loro design, pur espresso attraverso una 3DCG che non tutti ameranno, è in sé bello e molto curato. In particolare il colossale Godzilla, unico esemplare unico (pardon!) di tutta la zoologia dei punti di singolarità, in quanto sua massima manifestazione, è un’inquietante e apocalittica presenza piacevolmente debitrice dello Shin Godzilla (2016) di Hideaki Anno e Shinji Higuchi. Soffio atomico compreso!

Dal canto loro l’Otaki Factory è una notevole compagine di eroi proletari, con echi degli anime super robotici tanto quanto dei “team di specialisti anti-mostro” alla SSSP di Ultraman (la serie tokusatsu del 1966); come del resto Jet Jaguar è una interessantissima rivisitazione, futuristicamente obsoleta (con uno sguardo allo steampunk), del robot-supereroe apparso la prima volta in Ai confini della realtà! (Godzilla vs. Megalon, 1973, Jun Fukuda). Occorre ammazzare l’incredulità circa le loro incredibili performance, che annichilirebbero il più esperto dei berretti verdi, ma siamo in territorio fantastico e ci sta tutto… (vedi anche la questione di Yun e Mei geni dell’universo.) 

By the way: ottime e concitate le fasi action. E un plauso particolare alle musiche, la magnifica opening in testa.


Cosa invece non funziona? In generale più noiosetta la compagine di personaggi che ruota attorno a Mei e i suoi viaggi. E, sempre in questa zona, quel che a tratti pesa davvero troppo è l’accurata ma ridondante scrittura pseudo-scientifica, che anima i dialoghi della ragazza e dei vari cervelloni con cui interagisce. Qua e là c’è puzza di supercazzola fusariana; ma in verità gli sceneggiatori si sono presi davvero molto sul serio, mescolando con ardito ardore riferimenti scientifici, filosofici e letterari niente affatto scontati, quasi volessero ottenere una sorta di Neon Genesis Evangelion dei kaijū. Difficile dire se ci siano riusciti o meno… certo è che un fronte mistery più a misura d’uomo qualunque, avrebbe forse giovato di più a questo genere di spettacolo. Una sperimentazione anche raffinata e rispettabilissima eh, però diamine…

A proposito: una prece per coloro che nel mondo si sono dovuti occupare della traduzione e dell'adattamento di Godzilla: Punto di singolarità. Loro sì, eroi veri dell’umanità.


Complessivamente, Godzilla: Punto di singolarità è un sostanzioso sì. Un’opera immaginifica, affascinante e audace, che riscrive il kaijū eiga godzilliano forse facendola anche fuori dal vaso ogni tanto, ma meritandosi tutta l’attenzione che gli vorrete donare. 

E se saprete resistere sino in fondo, verrete premiati con una scena post credit notevolissima… il cliffhanger definitivo che vi convincerà ad attendere anche la seconda stagione!




GODZILLA: PUNTO DI SINGOLARITÀ (Giappone 2021-...)
Serie anime, prima stagione, 13 episodi da circa 24' l'uno
Regia di Atsushi Takahashi 
Sceneggiatura di Tō Enjo




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