GODZILLA VS. KONG | Spettacolari battaglie fra titani dai piedi d’argilla


Godzilla vs. Kong è il quarto film del MonsterVerse realizzato da Legendary in collaborazione con Warner Bros., dopo Godzilla (2014, Gareth Edwards), Kong: Skull Island (2017, Jordan Vogt-Roberts) e Godzilla II: King of the Monsters (2019, Michael Dougherty). Tre titoli piuttosto fortunati, per quanto sinora il MonsterVerse – comunque in attivo in fatto di incassi – avesse fatto in sala meno sfracelli che nella finzione. 

Proprio Godzilla vs. Kong, al momento, sembra avviarsi a un salto di qualità significativo sia in termini di successo al botteghino, sia in termini di riscontro da parte della critica specializzata. Il film è appena uscito certo, ma sarebbe un esito interessante per quello che, sulla carta, potrebbe essere anche l’ultimo film della saga: dato che al momento, non esiste un accordo ufficiale con Toho per altri seguiti. 

Art per Godzilla II: King of the Monsters (2019).
Certo che Ghidorah è davvero tantissima roba...


Notoriamente, Toho è la casa giapponese che dai tempi dell’originale capolavoro Godzilla (1954) di Ishirō Honda, detiene i diritti del gigantesco rettile radioattivo, nonché di tutta la nutrita schiera di mostri giganti creati nei successivi kaijū eiga collegati al suo universo. Tali sono ad esempio i tre comprimari di King of the Monsters, ovvero Ghidorah, Mothra e Rodan; o il Mechagodzilla – tanto ormai sappiamo tutti benissimo che c’è – che appare nella parte finale di Godzilla vs. Kong

Sembra che Toho fosse intenzionata a tenere per sé i diritti delle sue creazioni, al fine di rebootare direttamente in Giappone la saga di Godzilla, ferma al momento al magnifico Shin Godzilla (2016) di Hideaki Anno e Shinji Higuchi. Per ora in realtà non si sa nulla neanche di un nuovo Godzilla nipponico, per cui tutto a questo momento è possibile – e in fondo, una cosa non esclude l’altra: lo stesso Shin Godzilla, del resto, uscì dopo il Godzilla di Edwards, e un anno prima di Kong: Skull Island: cioè parallelamente a un Monsterverse Legendary in pieno atto.


Shin Godzilla (2016), un capolavoro del genere.


Chi vivrà vedrà! Veniamo a Godzilla vs. Kong, l’atteso scontro tra il più celebre dei kaijū giapponesi e il colossale gorilla americano, nonché primo dei mostri giganti del cinema tutto (l’originale King Kong, di Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack per RKO, è del 1933), che rinnova tra l’altro una rivalità antica per più motivi: il titolo di mostrone più amato al mondo, certo; ma c’è anche il precedente di un altro match storico fra i due, ovvero il giapponese Il trionfo di King Kong (titolo italiano spoilerissimo! L’originale suona semplicemente come King Kong vs. Godzilla) del 1962, ancora per la regia di Ishirō Honda. (Una leggenda molto diffusa parla di un doppio finale, uno USA in cui vince lo scimmione gigante, uno giapponese in cui trionfa il sauro radioattivo. È falso: esiste un riadattamento con attori occidentali per il mercato USA; ma, per il resto, le differenze sono minime e il vincitore è comunque sempre King Kong anche nella versione nipponica. Che del resto, qui rappresenta la forza della natura stessa, contro la minaccia radioattiva – cioè Godzilla.) 

Godzilla vs. Kong (2021) di Adam Wingard (The GuestBlair WitchDeath Note) è un film potenzialmente importante, nel quale dovrebbero venire al pettine i nodi per quanto riguarda tutta la mitologia sui titani (il nome dei mostri giganti nel MonsterVerse) tessuta nei film precedenti. Purtroppo, questo avviene sì ma in modo decisamente semplicistico e superficiale, aprendo tante questioni quante – malamente – se ne chiudono. 




Come più o meno già sapevamo, Kong e Godzilla sono gli ultimi rappresentanti di due super specie che anticamente hanno già lottato fra di loro (una reference a Il trionfo di King Kong?), un po’ come era avvenuto con Ghidorah e gli altri visti in King of the Monsters. Stavolta, però, determinati eventi spingono alcuni personaggi a mettersi letteralmente in viaggio con Kong, alla ricerca delle sue origini (ovvero delle origini della sua specie). 

Ciò avviene poiché, apparentemente, Godzilla ha fatto il turn heel, e da ex difensore della Terra ora si è messo a distruggere città senza evidente motivo. Così una multinazionale della tecnologia, la Apex (nomen omen…) di Walter Simmons (Demián Bichir) decide di finanziare il reboot di una vecchia missione precedentemente fallita (che cita, in questo piacevolmente, Jules Verne). Sin dall’inizio è chiaro come Simmons sia palesemente uno stronzo esaltato, e non c’è alcun mistero sul fatto che siamo di fronte alla classica “missione scientifica” che nasconde ben altro; congiunta qui al tema – già ampiamente sfruttato negli altri film della saga – della contrapposizione tra “colombe” e “falchi” nella gestione dei problematici mostroni.




Credo che già a questo punto si evinca quale è il principale problema del film. Ma lasciamo le brutte nuove a dopo, e partiamo piuttosto dalle buone: i titani e le loro battaglie sono davvero spettacolari. La realizzazione e la caratterizzazione delle creature, sia in termini di resa visiva della CGI che di studio del loro comportamento, per far sì che sia più realistico e coerente possibile, è impressionante. Questo, ovviamente, vale soprattutto per i due protagonisti eponimi, che sono personaggi a tutti gli effetti e forse persino umani-troppo-umani. 

Kong si trova, sotto molti aspetti, a occupare il ruolo che era di Godzilla in King of the Monsters. In questo film lo scimmione manifesta intelligenza ed espressività in maniera assai abbondante, con l’evidente intenzione di creare simpatia tra il re di Skull Island e lo spettatore medio: come si vede benissimo già ad inizio del film, in cui una divertente sequenza nella quale Kong si sveglia stiracchiandosi e grattandosi una chiappa (giuro!), come farebbe “uno di noi”. 




Questa sorta di umanizzazione dei due protagonisti non è troppo invadente, e quando si passa all’azione la loro resa quali esperti e feroci veterani dei titani è perfetta, nel contesto di battaglie spettacolari, ben coreografate e ricche di trovate. Ho particolarmente apprezzato la loro riabilitazione come “caotici neutrali”, cosa che si era un po’ persa in King of the Monsters: con un Godzilla forzatamente adattato al ruolo di eroe della natura e persino dell’umanità. 

Qui, invece, torniamo fortunatamente alle origini (i loro primi due film solisti del MonsterVerse, il Godzilla di Edwards e Kong: Skull Island): i due bestioni essenzialmente ignorano gli umani, un po’ come noi ignoriamo le formiche; è vero che ne accettano eventualmente l'appoggio in battaglia se utile, ma non danno evidenti segni di "gratitudine" o volontà esplicita di cooperare, con l'unica eccezione di Kong e la piccola Jia (Kaylee Hottle, bravissima peraltro), una bambina indigena sordomuta con la quale il re di Skull Island ha un rapporto empatico speciale (inserita ad hoc per motivare tutta la questione del viaggio). Inoltre, non si fanno troppi problemi a spazzarli via quando creano noie. Vale evidentemente per l’incazzato Godzilla, ma nemmeno Kong si crea problemi a farsi dolorosamente rispettare dai suoi piccoli “alleati” quando serve. 




Questo il buono del film di Wingard. La parte debole, anzi direi proprio malvagia, riguarda i personaggi umani e le loro sottotrame: scritti male, banali quando non proprio odiosi, veicolano malissimo la loro funzione di punto di vista sugli eventi, rovinando il tono del film che poteva essere decisamente più epico e drammatico. Si salva giusto la piccola Jia, per il suo ruolo astratto di medium con la forza della natura. Gli altri personaggi sono davvero uno più dimenticabile dell’altro, esseri sciagurati che si muovono random in sviluppi che sembrano improvvisati strada facendo.

Particolarmente disastroso il terzetto associato a Godzilla (come vedrete ci sono due terzetti di personaggi rilevanti che “fanno cose” nell’interesse di uno dei due titani protagonisti): Millie Bobby Brown che riprende il suo personaggio di King of the Monsters, come se non fosse bastata già la prima volta (che poi sarà talentuosa quanto volete, ma dateglielo un ruolo diverso dalla smart girl qualche volta!); un suo amico nerd (Julian Dennison) che sembra il bootleg del migliore amico di Peter Parker/Tom Holland nei film di Spider-Man del MCU; e, dulcis in fundo, un complottista afroamericano pazzoide (Brian Tyree Henry) che parla a mitraglia come Eddie Murphy e "ci dice che lo cose che non vogliono dirci", con tanto di podcast seguito dal personaggio della Brown (sì, esatto: si conoscono così). Un personaggio davvero insulso e caricaturale, che probabilmente risulterà stupido anche ai complottisti veri; e che a un certo punto si cerca di riabilitare con un cenno a un “congiunto perduto tragicamente” (cosa che hanno più o meno tutti tutti in questa saga…) buttato lì talmente male da lasciare attoniti.

Non mi dilungherò ulteriormente sugli esseri umani di Godzilla vs. Kong, che i titani se li meritano eccome, ma sulla schiena. Tutti buoni attori ma sfruttati malissimo, persi in una sceneggiatura che raggiunge infimi livelli mai visti prima. Come una scena tra le tante che potrei citare, in cui si manda in corto un sistema sofisticato gettandogli liquido addosso. Voi la mettereste in un film una cosa simile? No, perché vi sembra stupida vero? Esatto, perché lo è: eppure in Godzilla vs. Kong la troverete eccome!


Immagine emblematica ben oltre le intenzioni degli autori.


Anche gli elementi che citano i film precedenti sono buttati alla rinfusa. Personaggi che fanno camei a caso, il figlio di un certo personaggio importante che ha un ruolo assurdamente marginale. Persino Monarch, l’organizzazione internazionale che vigila sui titani nel mondo, è dimenticata sullo sfondo. 

Godzilla vs. Kong ha magnifiche sequenze di combattimento tra mostri gigante, poggiate sul vuoto pneumatico di una trama ben oltre il fragile. Nonostante il successo che apparentemente sta avendo, complice le “fame da sala” dei cinefili nel mondo della pandemia (almeno laddove le sale sono aperte, ovvio) e l’attesa per lo “scontro del secolo”, è possibilmente il film più debole della saga. E, almeno da un punto di vista qualitativo, segna di fatto il secondo fallimento della Warner nel creare un universo transmediale paragonabile al Marvel Cinematic Universe di Disney, dopo il triste capitolo del DC Extended Universe (vedremo se dopo la Snyder’s Cut cambierà qualcosa, ma le speranze mi sembrano decisamente vane). 

L’impressione, infatti, è che dopo il tiepido successo di King of the Monsters, si sia inteso rimodellare il film di Wingard in direzione di uno stile vagamente action-comedy, del tutto forzato, che paradossalmente ma non troppo – vedi il precedente DCEU, appunto – ha solo amplificato i problemi già presenti in quel film (ovvero sempre la “parte umana” della vicenda). Avremo una Wingard’s Cut in futuro? Chissà, non la escluderei troppo.




Peccato perché proprio in King of the Monsters, o meglio nel suo primo trailer avevo scorto il barlume di un’epica terrificante, apocalittica e lovecraftiana, che poteva fare di questo MonsterVerse qualcosa di molto più grandioso e originale. Ma sono idee che evidentemente non vanno d’accordo con gli incassi.

Si obietterà che sono solo film d’intrattenimento, inutile aspettarsi troppo. Non sono assolutamente d’accordo: "intrattenimento" non è necessariamente sinonimo di scarso valore, ed esistono fior di controesempi di monster movie riuscitissimi, molti dei quali già citati in questo articolo: dal Godzilla di Honda al Shin Godzilla di Anno e Higuchi, dall’originale King Kong degli anni Trenta a quello sottovalutatissimo di Peter Jackson (2005); anche i primi due rappresentanti del MonsterVerse Legendary, il Godzilla di Edwards e Kong: Skull Island sono, nelle loro distinte linearità, scritti molto meglio rispetto ai loro diretti successori. 


Ancora Shin Godzilla (2016).


Valga per tutti l’esempio di Shin Godzilla, che presentando essenzialmente una rinnovata lotta tra il Giappone e il disastro nucleare (il riferimento nel Godzilla di Honda era quello portato dalle bombe atomiche americane; qui quello derivato dall’incidente di Fukushima), schiera come protagonisti umani una collettività di funzionari, in una dimensione quasi eisensteniana. Esiste qualcosa di più potenzialmente palloso dei funzionari di Stato e delle loro riunioni? Eppure Shin Godzilla, tra una riunione e l’altra, corre come un treno: con personaggi decisi, solidi, anche idealizzati volendo, ma con uno scopo chiaro semplice e forte (fermare Godzilla, salvare a ogni costo il Paese). Mentre in Godzilla vs. Kong, ogni volta che i protagonisti umani appaiono, attendi annoiato che si levino semplicemente di torno.

Persino laddove si è scelto di optare per una linea più ingenua, per ragazzi (molti kaijū-eiga classici erano orientati in tal senso), lo si è fatto con discernimento e chiarezza talvolta esemplari. Quelle in cui si sta incartando il MonsterVerse sono proprio contorte sciocchezze, l’esatto opposto della semplicità del prodotto incisivo per ragazzi; che in una dimensione come la sua, che tende(va) al realismo, pesano terribilmente. Incidendo, infine, anche sui mostri e le loro battaglie.




In una Hong Kong piena di luci al neon più di un remake di Tron, nella quale le folle terrorizzate fanno capolino solo occasionalmente, sparendo del tutto durante gli scontri veri e proprio, Godzilla, Kong e poi Mechagodzilla sono i personaggi di un coin-op gioioso e fracassone ma poco partecipe. Come fosse giocato da qualcun altro, e non riguardasse troppo lo spettatore.

Il (giant) monster movie è uno strano genere che si colloca tra l’horror classico dei mostri (Wingard, Dougherty, Edwards e tanti altri autori coinvolti arrivano, non a caso, proprio dall’horror) e il disaster movie puro: togli un punto di vista umano efficace, e tutto l’affascinante timore & tremore che servirebbe, facendo la differenza tra “divertente” ed “epico”, evapora nell’aria. 

E no, questo non è affatto un problema minore.






GODZILLA VS. KONG (USA 2021), di Adam Wingard
Soggetto di Terry Rossio, Michael Dougherty e Zach Shields
Sceneggiatura di Eric Pearson e Max Borenstein
CAST: Alexander Skarsgård (Nathan Lind), Millie Bobby Brown (Madison Russell), Rebecca Hall (Ilene Andrews), Brian Tyree Henry (Bernie Hayes), Eiza González (Maya Simmons), Julian Dennison (Josh Valentine), Demián Bichir (Walter Simmons), Kaylee Hottle (Jia).


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