BONE TOMAHAWK | La Frontiera sull'orlo dell'Abisso secondo S. Craig Zahler
Bone Tomahawk si apre sulle “gesta” di due criminali (David
Arquette e il compianto Sid Haig), intenti a uccidere e rapinare alcuni viaggiatori che dormivano accampati nel deserto. Una sequenza che anticipa,
dalla prospettiva opposta, uno dei vari pericoli che i quattro protagonisti del
film dovranno affrontare durante la loro impresa; oltre, subito dopo, quello principale. Avventati a loro volta, i due balordi attraversano infatti uno
strano cimitero, causando la violenta reazione di alcuni misteriosi indigeni...
Stacco, e ci ritroviamo a Viva Speranza (Bright Hope), anonima cittadina del
West di poche anime dove tutti si conoscono, e la vita procede, in apparenza, piuttosto tranquillamente. O almeno così era sino ad oggi: dopo un incidente serale ancora routinario,
con uno straniero arrestato senza troppe cerimonie dallo sceriffo locale Franklin
Hunt (Kurt Russell), durante la notte la piccola comunità viene decisamente messa
sottosopra. Uno stalliere massacrato, diversi cavalli rubati, e soprattutto il
rapimento di tre persone dall’ufficio dello sceriffo: un giovane vice, un
prigioniero ferito, e il medico (si dovrebbe dire la medica?) chiamata a prendersene
cura.
Così, riassunta in poche righe, quella di Bone Tomahawk può sembrare una trama abbastanza lineare e convenzionale. Quasi da western d’antan, con gli “indiani” cattivi (è questa la minaccia. Più o meno) e gli eroici pistoleri che partono alla battaglia per salvare degli innocenti. Beh, lasciatemelo dire: col cazzo che è così! Classificato normalmente come “western horror”, questo infernale viaggio ai confini della civiltà merita quella seconda parolina più di buona parte degli odierni horror fatti e finiti. E merita pienamente anche la prima, “western”: come nuovo, originale, orgoglioso e riuscito, slancio di un genere leggendario che proprio non vuole saperne di sparire. Nonostante la popolarità non sia più quella di un tempo, la rivoltella del western è ancora carica di opportunità per quegli autori che sanno guardare alle loro spalle, e allo stesso tempo oltre. Ed è questo sicuramente il caso dell’immaginifico S. Craig Zahler, autore ancora di pochi film (considerando il binomio regia & sceneggiatura questo, Cell Block 99 e Dragged Across Concrete), ma uno più mina dirompente dell'altro.
Quattro diversissimi protagonisti che fanno una miscela decisamente vincente, in una missione suicida che è prima di tutto un viaggio lirico e virile di (non facile) amicizia, rispetto e comprensione reciproci. Quattro personaggi che sono modernissimi e imperfetti antieroi alla fine, mossi da differenti e irrinunciabili forme del dovere (l'autorità, la lealtà, l'amore, e infine uno stile che non è affatto solo apparenza, semmai ferrea volontà di elevarsi sino al sacrificio), benché umani e fallibilissimi. Non hanno ovviamente superpoteri; e le loro abilità quali avventurieri e uomini d'arme, per quanto notevoli, sono tutt'altro che infallibili (sotto questo aspetto, Bone Tomahawk è un film piuttosto realistico): ma la quieta decisione con cui vanno sino in fondo, affrontando con saldezza ferite terribili e qualcuno persino la morte, è quanto di più puramente epico si sia viso nel cinema recente. E funziona magnificamente, lasciando lo spettatore autenticamente ammirato.
I cannibali senza nome rappresentano l'Abisso: la negazione della Civiltà stessa che minaccia silenziosamente ogni forma di quest'ultima, a volte troppo da vicino (nella fattispecie a pochissimi giorni di viaggio). Durante l'approssimarsi al loro insediamento, i nostri quattro cavalieri avranno modo di esperire tutta la lontananza dal loro mondo fatto di norme e morali, per quanto incerte e instabili siano; per poi, una volta giunti a destinazione, precipitare in un conflitto difficilissimo nel quale loro, assieme alla Civiltà che rappresentano, rischiano decisamente di essere annientati (se sconfitti, che ne sarà di Viva Speranza?). Ma l'orrore qui non è certo esclusivamente concettuale: Zahler pesta duro sul brivido, la violenza e il gore, con almeno due/tre scene belle toste che vi si pianteranno in testa per non lasciarvi mai più. E a mia memoria, un disagio simile non lo provavo dai tempi del primo impatto con Cannibal Holocaust – tanto per restare in tema di cannibali!
Un cinema, quello di Zahler, da alcuni liquidato frettolosamente come reazionario, anche per la presenza nei suoi film di iconici attori repubblicani come Kurt Russell, Vince Vaughn (in Cell Block 99 e Dragged Across Concrete) e Mel Gibson (in Dragged Across Concrete). Ma a prescindere da quelle che possano essere le frequentazioni e le idee del cineasta (che comunque si è più volte dichiarato apolitico), il suo resta un cinema decisamente esemplare: non solo per una maestria tecnica niente affatto comune, o per la sua notevole capacità di intrattenere; altresì per la profondità con cui riesce a cogliere certe taciute inquietudini della nostra imperfetta e traballante civiltà, il cui valore mi sembra trascendere i filtri e gli schemi delle ideologie particolari. Un cinema, dunque, che merita di essere frequentato e amato: similmente a quelli di altri "scomodi" d'eccezione quali Sam Peckinpah, Don Siegel e Clint Eastwood.
CAST: Kurt Russell (Sceriffo Franklin Hunt), Richard Jenkins (Cicoria), Patrick Wilson (Arthur O'Dwyer), Matthew Fox (John Brooder), Lili Simmons (Samantha O'Dwyer).
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