BLACK SUMMER stt. 1 e 2 | (Speriment)Azione e anarchia per l’oscura apocalisse zombie di Netflix



Dal 1968, Anno Zòmbini (!) di quel capolavoro incredibile – e giusto un tantinello influente – che è La notte dei morti viventi del Maestro George A. Romero, gli zombie non hanno mai smesso di marciare, moltiplicarsi, mutare, divorando ingordi ogni anfratto dell’immaginario contemporaneo. E con The Walking Dead, (2010-...), serie TV tratta dal celebre fumetto di Robert Kirkman (pubblicato originariamente negli USA da Image Comics; in Italia da Saldapress edizioni), che si concluderà con l’imminente undicesima stagione (tutta la serie è ora disponibile su Star, il canale dei contenuti maturi di Disney+), è da tempo iniziata la conquista zombie anche della nuova serialità contemporanea.

Netflix non è certo stata con le mani in mano: e sulla prima delle piattaforme streaming, tra numerosi film a tema living dead, trovate anche alcune serie. In questo articolo vi presenterò in particolare una serie TV, Black Summer, che occupa un posto di rilievo nelle mie visioni seriali recenti.





BLACK SUMMER stagione 1

Ricordo bene quando, un paio di anni fa, mi ritrovai di fronte la prima stagione di questa serie. Sapevo del suo imminente arrivo su Netflix, ma non avevo approfondito nulla. Così iniziai il primo episodio in perfetta modalità “tabula rasa”: vale a dire senza aver sviluppato nessun pregiudizio particolare verso di essa, in bene o in male che fosse.

Black Summer
si presentava insieme molto essenziale e particolare. In una città stranamente deserta e silenziosa, eccetto per l’inquietante eco di alcune sirene d’emergenza, alcuni personaggi sono intenti a fare frettolosamente i bagagli. Facciamo così la conoscenza di Rose (Jaime King) e la sua famiglia, suo marito Patrick (Ty Olsson) e sua figlia Anna (Zoe Marlett). 

La città è sotto coprifuoco militare, e si sta procedendo all’evacuazione degli abitanti. Motivo di tutto ciò è l’epidemia di un virus letale, che rende le persone furiosi e velocissimi cannibali (siamo dalle parti di 28 giorni dopo, insomma). Se si viene morsi da uno zombie, si muore e si diventa a propria volta tale; ma si diventa zombie anche semplicemente morendo, senza essere stati morsi: poiché ormai il virus ha evidentemente contagiato tutti, e attende solo di attivarsi. Unico modo per evitare la trasformazione, o fermare chi già l’ha subita, è un danno significativo al cervello. Gli zombie, infatti, sono inarrestabili e apparentemente insensibili ad ogni altro tipo di ferita, per grave che sia. Uno scenario fin qui piuttosto noto, insomma.




Le operazioni di evacuazione sono brutali e scoordinate. In questo, Rose – un po’ la protagonista delle serie, pur molto corale – perde presto la sua famiglia. Particolarmente Anna, che viene evacuata da sola, lasciando indietro la madre. Sarà dunque compito primario di Rose ritrovare la propria unica figlia, raggiungendo la meta degli evacuati: uno stadio nel quale dovrebbero essere stati approntati i soccorsi.

Oltre a Rose e i suoi, incontriamo anche altri personaggi, che infine la seguiranno cercando la salvezza lontano da una città ormai perduta. Conosciamo così Sun (Christine Lee), una ragazza coreana che non parla l’inglese; “Spears” (Justin Chu Cary), il cui nome è un “prestito” dovuto alla divisa che porta, che scopriamo presto non essere sua; Ryan (Mustafa Alabssi), un sordomuto dal carattere buono e generoso; William Velez (Sal Velez Jr.), un brav’uomo di mezza età con un’assai resistente visione morale; Lance (Kelsey Flower), vero e proprio “casual survivor” che procede cavandosela in assenza di qualsiasi peculiare qualità (& mio personaggio favorito in questa prima tornata); e in seguito ne verrano altri ancora. Qualcuno durerà a lungo, qualcuno meno… vi consiglio di non affezionarvi troppo!

Quello che colpisce particolarmente è il modo in cui essi vengono presentati nell’arco dell’episodio. Attraverso piccoli capitoli, introdotti ciascuno da un minimalissimo titolo su sfondo nero, strutturati ognuno quasi secondo un tema e uno stile proprio. Quasi come se fossero tanti cortometraggi horror collegati, che sviluppano ciascuno una situazione particolare a partire da qualche aspetto della trama. Ognuno a suo modo teso, spaventoso e drammatico, sono girati con soluzioni talvolta al limite dello sperimentale: dal montaggio frenetico al piano sequenza, dalla soggettiva alla panoramica, c’è spazio per soluzioni registiche molto differenti l’una dall’altra. E già nel contesto di questo solo primo episodio, si gioca abilmente nello scomporre il racconto e la cronologia dei fatti: mostrandoci prima qualcosa che può essere pienamente compreso solo allorché integrato da quanto mostra un altro capitolo (Vedi per esempio i diversi punti di vista sulla vicenda della ragazza investita; o l’introduzione di Spears, che inizialmente sembra un vero e proprio eroe in divisa, salvo rivelare in un segmento successivo un'origine ben diversa). 




Con il procedere della serie, con ogni episodio caratterizzato differentemente a partire dall'ambientazione, questa tendenza di scrittura e regia viene amplificata il giusto, senza esasperare mai la fluidità della trama generale. Trama invero essenzialissima: siamo di fronte a umani che lottano per sopravvivere con quasi ogni mezzo, punto. Qualcuno (Rose su tutti) motivandosi attraverso il salvataggio di un affetto importante (Anna), ma sono casi rari e non necessariamente migliori degli altri (anzi…). Significativamente i personaggi per varie, differenti ragioni non hanno quasi mai passato (non possono parlarne, come Sun e Ryan; non possono rivelarlo, come Spears; lo sconfessano apertamente, come William), e si plasmano caratterialmente, ai nostri occhi, quasi esclusivamente attraverso l'attualità della narrazione. Il tutto coerentemente a questa gestione puramente interna, "chiusa" di analessi e prolessi, come dicevo spesso persino nei confini di uno stesso episodio.

In questo senso Black Summer è l’illustrazione di un’apocalisse zombie, o meglio delle sue conseguenze, largamente antitetiche a quelle di The Walking Dead. Nell'opera kirkmaniana la socialità e le sue regole (Rick Grimes è uno sceriffo, non per nulla), anche nella difficilissima fase di assestamento delle prime stagioni, sono necessità autentiche e quasi irrinunciabili. Rispetto alle quali il pericolo zombie (lì lenti) passerà presto in secondo piano, rispetto al pericolo rappresentato da altri gruppi umani variamente “deviati”. L’epopea di Kirkman, trasposta in serie TV da Frank Darabont e in seguito da Angela Kang, è in fondo piuttosto ottimistica in tal senso (mi baso soprattutto sul fumetto. Sono molto indietro sulla serie, e onestamente non so se la riprenderò mai); mirando con una certa decisione alla rifondazione della società democratica.

In Black Summer, diversamente, l’imperativo è la sopravvivenza individuale; il “gruppo” è un’entità molto fragile, priva di qualsiasi visione d’insieme e dettata solo dal dover affrontare un’emergenza comune. Il potente afflato kirkmaniano verso la dimensione sociale è negato. Mentre gli zombie, veloci e incontenibili, nonostante siano spesso tutt’altro che numerosi (anche il budget è presumibilmente differente…), mantengono costante la loro pressione sui vivi; impedendone aggregazioni che non siano provvisorie, e funzionando terribilmente bene come cartina al tornasole dei loro moti autoconservativi più puramente “animali”. 

Valga su tutti lo splendido episodio 1.5, dove due infetti tengono in scacco cinque persone chiuse in un tipico diner americano, mettendo a dura prova (eufemismo!) la tenuta di un non-gruppo all’origine. In questo mondo organizzarsi per arginare il pericolo zombie è difficilissimo. Sono furie in perenne movimento: anche solo centrarli alla testa, appare spesso un’impresa.






BLACK SUMMER stagione 2

Questa filosofia è ancora più evidente nella seconda stagione [attenzione, ovviamente qualche SPOILER di quanto è avvenuto nella prima stagione sarà inevitabile]. Dominata da un’ambientazione e un clima glaciali, quasi un vero e proprio ritorno allo stato selvatico, la season 2 vede i resti della “civiltà” dissolversi in una crisi senza ritorno. L’immagine del “gruppo”, della socialità, è decostruita e annichilita costantemente: vedi i sopravvissuti protagonisti della prima stagione pochi, e presto divisi; oppure i due nuovi gruppi avversari che si affrontano, confondendosi e scambiandosi facilmente i componenti, a significare la totale aleatorietà di queste associazioni di esseri umani; ancora, tutta la sottotrama del non-gruppo nella villa, che immediatamente intuiamo destinato all’autodistruzione. 

Non per nulla, il primo segmento dell’episodio 2.1, girato magnificamente come piano sequenza e dal sapore di manifesto programmatico, vede uno dei sopravvissuti della prima stagione finire trasformato in uno zombie senza alcun complimento. E ciò accade a causa di un moto di generosità, che lo espone all’uccisione da parte di un suo stesso simile. Cioè un essere umano, non uno zombie, è la causa della sua caduta: dovuta a un moto di "umanità", ormai superfluo anzi esiziale in questo mondo.

Ancora, dal canto loro la riunita coppia Rose/Anna dà vita a un team letale e feroce: sempre pronte a coprirsi le spalle l’un l’altra, ma soprattutto sempre al limite della sociopatia e della violenza gratuita. Per molti veri la versione assassina, oscura e disperatissima, di Rick/Carl di The Walking Dead.




Nella seconda stagione la possibilità di fuga dall'inferno dell'apocalisse è rappresentata da un aereo che appare periodicamente, paracadutando casse con viveri e materiale per la sopravvivenza. Scoprirne l’origine e raggiungerlo sarà una lunga marcia di dolore, con un finale che apre a diverse possibilità – e sicuramente, ascolti permettendo (Netflix calmati una buona volta con le cancellazioni!), a una terza stagione.

Black Summer
è una serie serissima, cupa, violenta e spaventosa, scritta e girata in maniera stilosissima, senza attori particolarmente noti (la più famosa è Jaime King direi) ma che fanno in generale tutti un buon lavoro. Possiamo considerarla un po’ la risposta anarco-nichilista a The Walking Dead, segnata da geometrie registiche del caos che ne definiscono la dimensione rigidamente (entomo)logica. Ma chi c’è dietro a questa piccola grande meraviglia?

I creatori di
Black Summer sono John Hyams, ottimo regista d’azione (suoi gli eccellenti Universal Soldier: Regeneration e Universal Soldier: il giorno del giudizio, parti della saga con Jean Claude Van Damme), che ha anche diretto la serie assieme a un altro sorprendente talento quale Abram Cox. Ma l’altro autore principale della serie è il visionario Karl Schaefer di Z Nation




Sì, perché l’enorme sorpresa nella quale m’imbattei a fine visione dell’episodio 1.1, fu apprendere come Black Summer sia  nientemeno che una produzione The Asylum! Lontana anni luce (fortunatamente) dai mockbuster e dai filmacci whatafuck della nota casa: tanto che se ne avessero occultato i riferimenti nei titoli di coda, probabilmente non me ne sarei mai potuto accorgere! Eppure teoricamente Black Summer ha luogo nello stesso universo di Z Nation… ne è insomma uno spin-off. Sembrandone però piuttosto il fratello furbo e malvagio!

Entrambe le stagioni di Black Summer sono disponibili in esclusiva su Netflix. Provare per credere, & buona visione!




BLACK SUMMER (Canada/USA 2019-...)
Serie TV, due stagioni da 8 episodi ciascuna, durata episodi variabile  
Creato da John Hyams e Karl Schaefer
Regia di John Hyams e Abram Cox

TRAILER stagione 1
TRAILER stagione 2




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