OXYGÈNE | La distopia claustrofobica ed esistenzialista di Alexandre Aja




Il regista Alexandre Aja, protagonista della nouvelle vague dell’horror francese con l’eccellente Alta Tensione (2003), ha saputo in seguito costruirsi una buona carriera tra horror puri (Le colline hanno gli occhi, 2006) e thriller (The 9th Life of Louis Drax, 2016), non disdegnando neppure un filone spesso ingiustamente sottovalutato come il beast movie (Piranha 3D, 2010; Crawl, 2019). Protési variamente verso l’omaggio al recente passato dei generi (alcuni sono veri e propri remake), sono tutti film variamente piacevoli e interessanti, per quanto nessuno di essi mi abbia mai convinto oltremodo.

Diversamente questo Oxygène, con il quale Aja, con tutta la sua esperienza nella costruzione della tensione e del terrore, ritorna alla fantascienza (il genere del suo primo lungometraggio, Furia del 1999), segna a mio giudizio un ulteriore salto di qualità per il cineasta di Parigi.




La sinossi: una donna (una straordinaria Mélanie Laurent; Bastardi senza gloria, Now You See Me) si risveglia anzitempo in un’avanzata unità criogenica, senza sapere nulla né di dove si trovi, né di chi sia. L’amnesia le preclude anche le chiavi di accesso al sistema, rappresentato da un assistente medico virtuale di nome M.I.L.O. (Medical Interface Liaison Operator. La voce originale è di Mathieu Amalric; Grand Budapest Hotel, James Bond 007: Quantum of Solace), collaborativo nei limiti in cui può esserlo una pedante intelligenza artificiale. 

Sfruttando alcuni confusi sprazzi di memoria, e la possibilità di accedere al Web e alle linee telefoniche, la nostra misteriosa protagonista dovrà riuscire a risolvere gli enigmi della sua situazione e della propria identità, nel tentativo di liberarsi dall'unità criogenica nella quale è indefinitamente prigioniera. E dovrà anche farlo molto rapidamente: poiché a seguito del guasto che ne determinato il precoce risveglio, la sua riserva di ossigeno si sta esaurendo molto velocemente…




A partire dalla brillante sceneggiatura dell’esordiente canadese Christie LeBlanc, il regista Alexandre Aja con Oxygène realizza un oggetto filmico di straordinaria modernità e bellezza, come si evince sin dai titoli di testa: che introducono, con notevole eleganza, i ricorrenti temi del topo da laboratorio e del labirinto. Si potrebbe descrivere approssimativamente Oxygène come un Buried (2010, Rodrigo Cortés), film per il quale ho grande riverenza ma che difficilmente rivedrò (avendomi terrorizzato), volto però verso temi e problemi della fantascienza distopica più recente. 

Restando molto generici e popolari per evitare spoiler, diciamo una fantascienza à la Black Mirror, la geniale serie antologica di Charlie Brooker. L’unità criogenica nella quale il personaggio della Laurent è custodita/prigioniera, e lo stesso M.I.L.O con il suo oppressivo supporto, sono nuove e inquietanti rappresentazioni di quella tecnologia che, nell’universo brookeriano, seduce profondamente l’essere umano, minacciandone al contempo l’esistenza nei suoi aspetti più essenziali.




Questo accade in qualche modo anche in Oxygène, il parto felicissimo dell’interazione tra un regista in stato di grazia e un’unica, straordinaria intreprete (vi sono altri personaggi, ma appaiono nello sfondo delle sue memorie/flashback, o come mere voci), nel contesto di una scenografia (l’interno della capsula) progettata con ammirevole intelligenza. Un ambiente tanto angusto e disturbante, quanto a suo modo ricco e stimolante (In questo Oxygène è meno radicale di Buried).

Su tutto, un braccio meccanico decisamente cronenberghiano, a metà il serpente e l’intestino, che apparirà talvolta per portare “cure” niente affatto richieste. Angosciante a dir poco!




Mélanie Laurent, con la sua diafana bellezza e il suo impressionante range espressivo, è decisamente la perfetta protagonista per questo film. L'attrice dà vita a un personaggio complesso e sfaccettato, capace di lottare da pari con l'asfittica ipertecnologia in cui è confinata con il suo combattivo ingegno, quanto di squassarla con la sua furiosa rivolta vitalistica. Una prova memorabile, come quella di Ryan Reynolds nel già citato Buried, o ancora quella dell'automobilista Tom Hardy in Locke (2013, Steven Knight), altro eccezionale esempio di performance recitativa confinata. Una prova che, da sola, rende Oxygène degno di future revisioni; anche quando – una volta vistolo – ne avrete risolto tutti i suoi enigmi. 

A tale proposito, l’ultima fatica di Alexandre Aja è un’opera che si dispiega attraverso molti piccoli svelamenti. Come un raffinato sistema di scatole cinesi, che si aprono una alla volta, solo con l'ultima rivelando il proprio segreto; capace in questo caso d'elevarla di colpo verso inattese vette riflessive (come la migliore fantascienza deve saper fare). Tra l’altro attraverso uno dei più suggestivi utilizzi della CGI visti recentemente in un film. 

Per queste ragioni non posso assolutamente raccontarvi oltre. Sarebbe un vero peccato mortale anticiparvi qualcosa di un’esperienza che, confinati nell’unità criogenica con Mélanie Laurent, dovete assolutamente fare per conto vostro.




Unica nota negativa, quella superflua scena finale (proprio l’ultima, subito prima dei titoli di coda), che risolve più di quanto fosse effettivamente necessario. 

Ma al di là di questo piccolo mio lamento, Oxygène, un film derivativo quanto volete, che forse non inventa nulla di nuovo, mostra comunque un'arte incredibile nell'articolare tutti quei temi, quelle emozioni, quelle visioni, a partire da mezzi così minimali. E che colpo genio fare deflagrare il tutto in una dimensione così vertiginosa!

Il capolavoro di Alexandre Aja, inatteso e imperdibile. Disponibile ora su Netflix.






OXYGÈNE (Francia/USA 2021)
Regia di Alexandre Aja
Scritto da Christie LeBlanc
CAST: Mélanie Laurent (bioforma Omicron-267), Mathieu Amalric (voce di M.I.L.O.), Malik Zidi (Léo Ferguson).







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