VIVARIUM | Un'infernale trappola di casette pastello


In ambito horror il concetto di “casa” rimanda inevitabilmente al sottogenere delle “case infestate”, con le sue schiere di abitazioni variamente isolate e minacciose, teatri di manifestazioni agghiaccianti ed eventi sanguinari. Un filone talmente glorioso, e inevitabilmente abusato, da scoraggiare persino l’immaginazione nella ricerca di possibili alternative ai suoi topoi narrativi. Eppure, le alternative esistono, e persino radicali e brillanti: come hanno dimostrato il regista Lorcan Finnegan e lo sceneggiatore Garret Shanley, al loro secondo lungometraggio (dopo l'interessante Without Name del 2016) con l’inquietante e visivamente mirabile Vivarium (2019).

La trama: Gemma (Imogen Poots) e Tom (Jesse Eisenberg) sono una serena coppia di innamorati. Dolce e premurosa maestra d’asilo lei, giardiniere infaticabile & bambinone rassicurante lui, conducono serenamente la loro esperienza di convivenza, rotta giusta da qualche piccolo screzio (vedi, già all’inizio, la scena del cambio della maglietta…), in attesa di trovare una bella casa dove sistemarsi definitivamente. A tale scopo visitano un’agenzia della Yonder: un’azienda che offre apparentemente delle belle e moderne villette unifamiliari, oltretutto a prezzi molto convenienti, e nel contesto di un complesso abitativo di recentissima edificazione.

L’impatto iniziale è quantomeno stravagante (seppur nulla rispetto a quanto accadrà poi…), a causa dell’agente immobiliare Martin (Jonathan Aris): una sorta di manichino vivente dalla espressività tanto meccanica, quanto artificiosa e sopra le righe. 

Ma nonostante Gemma e Tom se la ridacchino, e noi con loro, Martin si rivela inaspettatamente lesto e abile: usando le parole giuste al momento giusto, egli riesce a incastrare subito la coppietta in una visita improvvisata al complesso Yonder.

Shut up and take my money! 

L’arrivo a Yonder (“In periferia. Abbastanza vicino, abbastanza lontano. Alla giusta distanza.”), salutato da un ambiguo cartellone (“Case per famiglia di qualità. Per sempre.”) è la rappresentazione impeccabile della progressiva caduta in trappola dei due giovani. 

Dopo il cartellone infatti, a ogni svolta il paesaggio cambia quasi impercettibilmente, “arricchendosi” dei ripetitivi elementi dell’universo-Yonder: file interminabili di casette verde pastello, tutte perfettamente identiche, e un cielo sereno percorso da nuvolette a pecorella –parimenti identiche ed equidistanti l’una dall’altra. Un mondo a parte che sembra uscito dalle illustrazioni di un sussidiario per psicopatici. Un Magritte colpito da ictus, e capace esclusivamente di eterno ritorno di un uguale unifamiliare (casetta & nuvoletta, forever & ever). Dulcis in fundo, a parte il trio non c’è un’altra anima viva da nessuna parte.

Un frastornante deserto di “adorabili” casette color pastello, tutte vertiginosamente uguali.


Gemma e Tom sono comprensibilmente perplessi, iniziano forse a sentirsi in trappola; tuttavia vengono subito risucchiati da Martin nella visita della villetta numero 9, non avendo così troppo tempo per rendersi conto. 

L’architettura degli interni della casa, pur ordinata e a suo modo accogliente, riflette perfettamente l’esterno, nonché il bizzarro cicerone della Yonder: troppo innaturalmente perfetta. Persino i dipinti sulle pareti esprimono la tara di un universo chiuso in sé (il quadro nel soggiorno che rappresenta la facciata d’ingresso della casa; quello nella camera da letto che rappresenta addirittura la camera stessa), anziché fungere da “finestre” verso altri lidi.


A un certo punto Martin coglie l’attimo di una distrazione e sparisce; resosene conto, Tom vuole approfittarne subito per allontanarsi. Con Gemma salgono di nuovo in macchina (anche l’auto aziendale di Martin non c’è più) e ripartono, sperando di lasciarsi alle spalle il complesso. Ma come a questo punto avrete sicuramente intuito, non ci riusciranno affatto.

I minuti diventano ore, la notte lascia il post al giorno. I due ragazzi sono persi in un mondo di file di case perfettamente identiche, estese indefinitamente in ogni direzione: il complesso Yonder è un labirinto infernale dal quale è impossibile uscire. Facendoli tornare sempre, incomprensibilmente, alla “loro” villetta numero 9 (forse esistono più numero 9?).


Ovviamente i cellulari non prendono più, e qualsiasi altro stratagemma per fuggire – persino un goffo tentativo di distruggere la casa! – risulterà vano. Intanto, dei misteriosi pacchi assicurano ai due scorte di alimenti, tanto ricchi e vari quanto tutti puntualmente insipidi. Sinché, in uno di quei scatoloni, trovano nientepopodimeno che… un neonato! Apparentemente normalissimo, grassoccio e sano. Sul suo pacco, la richiesta esplicita di allevarlo, per poter poi essere “liberati”.

È l’inizio della storia di una famiglia decisamente disfunzionale. Con il “bambino” che, crescendo a una velocità sorprendente, mostrerà sempre più disturbanti analogie con un certo altro personaggio… oltre a un urlo sonico che farebbe salire la Franzoni anche a Maria Montessori in persona. 


Diciamo pure che, anche avendo solo un minimo d’immaginazione, a un certo punto si comprenderà facilmente dove il film stia andando a parare. Ma non si scambi questo per un limite: Vivarium è un gran pezzo d’horror contemporaneo che non gioca tanto sull’effetto sorpresa, abusando magari di jumpscare e plot twist; quanto piuttosto sul chiudere sempre più ogni spiraglio di speranza per i nostri malcapitati protagonisti, lavorando abilmente su atmosfere oppressive e claustrofobiche – nonostante l’ambiente tutt’altro che limitato in cui gli eventi narrati hanno luogo.

Utilizzando un aggettivo recentemente reso celebre da un certo noto film, la forza di Vivarium sta nel suo carattere ineluttabile. Un horror corretto con una buona dose di sci-fi e weird ai confini della realtà (a proposito,c’è un episodio nella terza stagione della serie originale di Twilight Zone, Un piccolo mostro, che presenta diverse affinità con questo film…), folle e malsano a dispetto de (anzi: proprio per) l’estetica quasi da Teletubbies di quel notevole complesso-mostro che è Yonker, realizzato con una cura quasi kubrickiana.


Vivarium è anche, evidentemente, una riuscita metafora dell’”accasarsi” come mettersi in trappola. Con una relazione d’amore che si sgretola inesorabilmente sotto il peso del conformismo, mentre viene su uno pseudo-figlio sempre più estraneo e avverso (a tale proposito, splendida la metafora del cuculo a inizio film) quale emblema del fallimento della relazione stessa, nonché del sistema sociale che l'ha ispirata.

Ottimi gli interpreti, a cominciare dalla coppia Poots/Eisenberg che già avevano lavorato assieme ne L’arte della difesa personale (2019, Riley Stearns). Particolarmente riuscito il personaggio di Imogen Poots, che nel suo ruolo di “madre suo malgrado” risulterà l’autentica protagonista, riuscendo emozionante nella sua combattuta resistenza.

Ma un plauso particolare lo riserverei a Senan Jennings, il giovanissimo attore chiamato a rendere il personaggio del “bambino” in tenera età. Un bambino mostro che non dimenticherete tanto facilmente.



VIVARIUM (Irlanda/Belgio/Danimarca/Canada 2019)
Regia di Lorcan Finnegan
Scritto da Garret Shanley
Soggetto di L. Finnegan e G. Shanley
CAST: Imogen Poots (Gemma), Jesse Eisenberg (Tom), Jonathan Aris (Martin), Senan Jennings (il bambino), Éanna Hardwicke (il bambino divenuto adulto).

Vivarium è disponibile per il noleggio/acquisto su numerose piattaforme streaming.



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