THE DARK AND THE WICKED | Il Male ineffabile secondo Bryan Bertino
Tra i
protagonisti del recente cinema horror, il texano Bryan Bertino è il poeta
dell’inconoscibilità del Male. È questo
un tema che il cineasta ha coltivato, con un rigore a fasi alterne, attraverso
tutta la sua sinora breve filmografia: dove il Male, manifesto ma sempre al
limite del metafisico – uso non a caso la maiuscola – è una presenza
inafferrabile, incomprensibile; circoscrivibile solo dal suo collocarsi nella
piega dell’errore umano, sua tana prediletta. È sempre
nel fallimento della relazionalità, della comprensione tra gli esseri umani che
quest’osceno ospite informe prende vita; e ciò, a prescindere dall’identità
particolare che assume da un film all’altro.
Ammesso ovviamente, alla luce di quanto detto, che qui abbia senso parlare di
“identità”.
Nel 2008
L’esordio esplosivo di The Strangers mostra una coppia in crisi (Liv Tyler e
Scott Speedman) fare i conti con l’effrazione omicida, nel teatro di una
classica villetta isolata, di un angosciante trio di assassini mascherati alla
Michael Myers (Halloween, Carpenter 1978). Bertino scrive e dirige un film in
cui l’home invasion e lo slasher toccano il confine della ghost story: con dei
maniaci silenziosi e invisibili come presenze sovrannaturali, ma nel contempo
terribilmente reali e concreti.
Concept che verrà poi mandato al diavolo (nel senso brutto dell’espressione) con il sequel The Strangers: Prey at Night (2018) di Johannes Roberts, con Bertino alla sceneggiatura. Che sarebbe anche un discreto film, se appunto non esistesse il lungometraggio originale: rispetto al quale gli invisibili inseguitori perdono di colpo tutta la loro invisibilità, nonché la strategia e la cautela. "Cercandosela" di continuo, con una sfacciataggine al limite dell'autoimmolazione.
Tornando alle opere scritte & dirette da Bertino, ancora nell’irrisolto found footage Mockingbird (2014) delle persone, nelle loro case, vengono manipolate a distanza da un misterioso psicopatico, quindi coinvolte in un sadico gioco al massacro.
Invece in Monster (2016), quasi una versione kaijū-eiga di Babadook (2014, Jennifer Kent), è una compromessa relazione tra madre e figlia ad attrarre (generare?) una creatura tanto massiccia quanto invisibile e implacabile negli inseguimenti.
Con The
Dark and The Wicked, Bryan Bertino firma forse – e sin dal titolo – la sua opera
più teorica, tornando al contempo ai fasti terrorizzanti di The Strangers.
I fratelli Louise (Marin Ireland) e Michael (Michael Abbott Jr.) tornano alla
loro casa d’infanzia, una sperdutissima fattoria in quel di Texas (nota
autobiografica di Bertino), nonostante la madre (Julie Oliver-Touchstone) gli
abbia intimato più volte di non farlo – continuando tra l’altro, una volta
giunti, a chiedergli di andarsene. I due fratelli, dopo aver probabilmente
tergiversato a lungo, intendono ora aiutarla ad occuparsi del loro padre
(Michael Gazst), ormai un vegetale allettato in attesa di morire.
Ma è anche e soprattutto l’anziana donna a preoccuparli: nonostante il supporto
di un’infermiera privata (Lynne Andrews) nell’assistenza al marito, e quello di
un aiutante esperto (Tom Novicki) nei lavori della fattoria, ella appare
visibilmente esaurita e sofferente, o peggio ancora. A inizio film, la vediamo
infatti parlare col nulla: comportamenti che, nella prospettiva degli altri personaggi, fanno probabilmente pensare a qualche forma di demenza.
Le cose
precipitano molto presto. Credo di potervi anticipare quanto segue, essendo un
evento precoce nella narrazione, e in fondo solo un punto di partenza: l’anziana
donna, dopo un episodio di autolesionismo decisamente estremo, viene ritrovata morta
dai figli. Un suicidio, ma piuttosto sospetto.
Da qui è un crescendo. Nella fattoria c’è una presenza indefinibile, mutevole e insinuante. Rumori, sussurri, voci, ombre, vere e proprie apparizioni: i due fratelli sono presi dentro qualcosa di spaventoso, da cui la madre aveva tentato, inutilmente, di tenerli lontano (“non è quello che credi”, disse rivolta alla figlia). A un certo punto verrà fatto il nome del Diavolo:piuttosto ambiguamente trattandosi di una famiglia essenzialmente atea. Forse non credendo sono particolarmente esposti a questo nemico? Ma si rivela presto un calcolo sbagliato.
Il Male in Bertino è inarrestabile; e non c’è fede che lo tenga a bada.
Non vi racconterò oltre. The Dark and the Wicked è la storia della caduta di una famiglia nel baratro del terrore; un horror-esperienza che poco servirebbe descrivere, va vissuto. Possibilmente al buio e nel silenzio. Un’esperienza angosciante che riconduce la paura ai suoi primordi: dove il Male, il Predatore, nasce nello spazio della solitudine e dell’abbandono. Come dimostra il magnifico finale, in cui la presenza di chi è solo impercettibilmente vivo cambia totalmente d’importanza.
Bryan Bertino dirige con grande mestiere e sensibilità un film che pesca dai classici, dialogando argutamente col presente: in The Dark and the Wicked ritroviamo Carpenter, L’esorcista di Friedkin, le case infestate alla Amityville, Nosferatu (la sequenza dell'ombra su tutto), sino ad analogie/confronto con il metamorfico It Follows (2014, David Robert Mitchell), le suggestioni folk di The VVitch (2015, Robert Eggers), l'ambiguità di Autopsy (2016, André Øvredal), e oltre.
Da qui è un crescendo. Nella fattoria c’è una presenza indefinibile, mutevole e insinuante. Rumori, sussurri, voci, ombre, vere e proprie apparizioni: i due fratelli sono presi dentro qualcosa di spaventoso, da cui la madre aveva tentato, inutilmente, di tenerli lontano (“non è quello che credi”, disse rivolta alla figlia). A un certo punto verrà fatto il nome del Diavolo:piuttosto ambiguamente trattandosi di una famiglia essenzialmente atea. Forse non credendo sono particolarmente esposti a questo nemico? Ma si rivela presto un calcolo sbagliato.
Il Male in Bertino è inarrestabile; e non c’è fede che lo tenga a bada.
Non vi racconterò oltre. The Dark and the Wicked è la storia della caduta di una famiglia nel baratro del terrore; un horror-esperienza che poco servirebbe descrivere, va vissuto. Possibilmente al buio e nel silenzio. Un’esperienza angosciante che riconduce la paura ai suoi primordi: dove il Male, il Predatore, nasce nello spazio della solitudine e dell’abbandono. Come dimostra il magnifico finale, in cui la presenza di chi è solo impercettibilmente vivo cambia totalmente d’importanza.
Bryan Bertino dirige con grande mestiere e sensibilità un film che pesca dai classici, dialogando argutamente col presente: in The Dark and the Wicked ritroviamo Carpenter, L’esorcista di Friedkin, le case infestate alla Amityville, Nosferatu (la sequenza dell'ombra su tutto), sino ad analogie/confronto con il metamorfico It Follows (2014, David Robert Mitchell), le suggestioni folk di The VVitch (2015, Robert Eggers), l'ambiguità di Autopsy (2016, André Øvredal), e oltre.
Azzarderei James Wan, in quanto The Dark and the Wicked appare quasi un programmatico anti-The Conjuring: condizioni simili, ma isolamento, nessun eroe, e stile totalmente opposto. Per quanto qua e là, con moderazione e per lo più quando effettivamente serve, anche Bertino tocchi il pedale del jumpscare, il suo è tutto horror d’atmosfera. Costruito nella quadratura maniacale di sguardi e ambienti, di luci e ombre, di musiche sotterranee (ma efficacissime) e silenzi. Di presenze, e assenze che evocano le prime ancora più.
Un plauso particolare alle musiche presenti-assenti di Tom Schraeder, quindi; e alla fotografia, assolutamente impeccabile, di Tristan Nyby. Ottimo il cast, a partire da Marin Ireland (Hell or High Water, Glass Chin), davvero eccellente nel dare vita alla protagonista.
The Dark and the Wicked è un gran pezzo d’horror soprannaturale, colto e significativo, enciclopedico ma coerente. Un folk horror astratto e universale, che scava profondamente nelle pieghe della psiche umana e del cinema dell'orrore tutto. Un film che consiglio senz’altro agli appassionati più raffinati ed esigenti.
THE DARK AND THE WICKED (USA 2020)
Scritto e diretto da Bryan Bertino
CAST: Marin Ireland (Louise), Michael Abbott Jr. (Michael), Julie Oliver-Touchstone (la madre), Lynn Andrews (l’infermiera), Tom Nowicki (Charlie), Michael Zagst (il padre).
Un bel salto in avanti per Bryan Bertino, ho apprezzato molto questa sua ultima fatica, proprio perché ha dimostrato di aver interiorizzato molti concetti chiave del cinema horror ;-) Cheers!
RispondiEliminaVerissimo! Davvero un'opera interessante! Ciao carissimo! ;)
Elimina